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IL SAXOFONO: QUESTO STRUMENTO TRASPOSITORE

Il saxofono è uno strumento a fiato traspositore facente parte della famiglia dei legni.
Ma cosa vuol dire «traspositore»? Il saxofono è stato considerato sempre così?


Gli strumenti traspositori sono strumenti i cui suoni reali (o suoni d’effetto) vengono trascritti sul pentagramma ad un’altezza non corrispondente ad essi. A rigore, sono strumenti traspositori solo quelli la cui notazione richiede un’effettiva trasposizione di tonalità; il termine però viene comunemente esteso anche a strumenti per i quali, unicamente per comodità di lettura, si usa notare i suoni reali all'ottava inferiore o superiore evitando l’impiego di numerosi tagli addizionali che sarebbero richiesti dal registro o molto acuto o molto grave in cui tali strumenti operano normalmente. É il caso ad esempio dell’ottavino di cui le note scritte sono un’ottava sotto i suoni reali, o del contrabbasso di cui le note scritte sono un’ottava sopra i suoni reali.
Negli strumenti traspositori la pratica della notazione dei suoni prodotti ad un’altezza diversa da quella reale ha una giustificazione di natura fonica e ad un tempo pratica.
A causa delle specifiche caratteristiche acustiche derivate dalla loro struttura fisica, certi aerofoni emettono con difficoltà o con problemi d’intonazione determinati suoni, particolarmente quelli alterati e «lontani» dagli armonici naturali; a ciò si tenta di ovviare costruendo – per una stessa famiglia – strumenti impostati in diverse tonalità (o, come si dice, strumenti di diversi tagli), ciascuno dei quali risulta particolarmente adatto all’esecuzione di composizioni impostate in determinate tonalità.
L’utilizzo di uno stesso tipo di strumento in tagli diversi (ad esempio un sax in Mib e un sax in Sib) e in notazione reale renderebbe estremamente difficoltosa l’esecuzione, giacché lo strumentista sarebbe costretto a modificare la diteggiatura, ossia la combinazione dei fori aperti e chiusi, ad ogni cambio di strumento, dal momento che uno stesso suono si trova in «posizioni» diverse a seconda del taglio dello strumento. Per ovviare a questo inconveniente, si usa scrivere le parti di tali strumenti ad un’altezza diversa da taglio a taglio, e quindi diversa da quella corrispondente ai suoni reali, calcolata in tutti i diversi casi in rapporto ad un ipotetico taglio in Do, il che consente allo strumentista di applicare un’unica diteggiatura e di servirsi di un’unica lettura per tutti i tagli di una stessa famiglia di strumenti.

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Questa apparente complicazione ha una motivazione storica, che va ricercata nei ritorti applicati anticamente agli ottoni (ai corni in particolare) per abbassarne il diapason. Quando vedeva scritto un Do, lo strumentista produceva la "nota fondamentale" del suo strumento (che era uguale al Do del clavicembalo); dovendo eseguire una composizione in un'altra tonalità e non avendo in mano uno strumento cromatico, il cornista doveva "allungare" lo strumento applicando un ritorto della giusta dimensione (in questo caso più lungo): producendo lo stesso armonico che abbiamo chiamato "nota fondamentale", si generava un suono più grave (e adatto alla nuova composizione). Visto che l'azione fisica del musicista era sempre uguale a se stessa (cioè produrre la "nota fondamentale") sembrò logico adottare anche una uniformità di scrittura, scrivendo sempre lo stesso Do con significato convenzionale di "nota fondamentale" indifferentemente dal ritorto applicato. Il ritorto necessario veniva prescritto a chiare lettere all'inizio della parte. Questo tipo di convenzione si applica oggi ad innumerevoli strumenti a fiato e permette all'esecutore di cambiare strumento (all'interno della stessa famiglia) facendo sempre corrispondere ad una nota scritta la stessa posizione delle dita, indipendentemente dal risultato reale.

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Perché il saxofono è uno strumento traspositore?


Il saxofono viene considerato strumento traspositore perché la sua famiglia è costituita da strumenti di diversa taglia in tonalità d’impianto diverse, utilizzando la pratica della notazione trasportata.
Le parti per saxofono, qualunque esso sia, vengono scritte tutte in chiave di violino ma con tonalità diverse in base allo strumento che viene suonato.
I tagli comunemente in uso oggi sono in Sib (Soprano, Tenore, Basso) e Mib (Sopranino, Contralto, Baritono). La costruzione di saxofoni in una tonalità di impianto diversa dagli strumenti in Do, come ad esempio l’oboe o il flauto, fu pensata da Adolphe Sax per consentire una maggior facilità e omogeneità tecnico-esecutiva su tutti i membri della famiglia. Ciò, in pratica, permise di ottenere anche una maggior fusione e compattezza timbrica. La diteggiatura infatti rimane praticamente invariata nei diversi tagli, risultando pressoché identica. Nonostante le differenze fisiche di rapporto tra loro e le piccole variazioni d’imboccatura, il passaggio tra gli strumenti della famiglia risulta quindi relativamente semplice mantenendo le stesse diteggiature.

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Il saxofono è stato considerato sempre uno strumento traspositore?


Per capire se il saxofono è stato sempre considerato uno strumento traspositore, andremo ad analizzare alcuni trattati d’orchestrazione, prevalentemente italiani, di diversi autori e diverse epoche.


Nel 1843 Hector Berlioz inserisce il saxofono nel suo Grand Traité d’Instrumentation. Berlioz fu il primo a descrivere il funzionamento e il metodo di scrittura di questo strumento. Il saxofono veniva presentato come il contrabbasso dei clarinetti, tagliato in Si bemolle, con tre ottave di estensione, potente e suggestivo nei suoni bassi ma poco efficace negli “effetti brillanti ed energici”. Il trattato di Berlioz parlava ancora dell’esistenza di un solo saxofono tagliato in Si bemolle (traspositore) e forniva pochissime altre informazioni.

Grand Traité d’Instrumentation H.Berlioz - 1843. P.151

Grand Traité d’Instrumentation, P.151
H.Berlioz - 1843

Nel Trattato pratico di strumentazione, compilato da Antonio Tosoroni e pubblicato nel 1850 (molto probabilmente il primo testo italiano di strumentazione ad occuparsi del saxofono), si forniva svariate notizie sul saxofono, sia di natura storica che propriamente tecnica. Esso veniva presentato come uno strumento “di recentissima invenzione”, tutto in ottone tranne il bocchino, uguale a quello del clarinetto; venivano poi descritte le caratteristiche del timbro, simile a quello del clarinetto basso e del corno di bassetto, ma molto più potente. Secondo Tosoroni, la “manovra” del saxofono era simile a quella degli strumenti sopra citati, così che esso poteva essere suonato senza difficoltà da un clarinettista; non ne esisteva uno solo ma molti, diversi in base alle dimensioni e alle tonalità in cui erano tagliati. Essi:


“appartengono in sostanza alla famiglia dei clarinetti, di cui non sono che una modificazione”


Tosoroni parlava poi di una famiglia di quattordici strumenti “dal soprano acutissimo fino ad una ottava più grave del contrabbasso”; evidentemente non solo i saxofoni in Si bemolle e in Mi bemolle, ma anche quelli in Do e in Fa erano considerati strumenti usuali, di utilizzo corrente.


Andando avanti nel tempo, nel 1897, il trattato di Amintore Galli Strumenti e strumentazione, nel quale l’autore, critico, compositore e direttore di banda, inseriva una sezione dedicata all’orchestra moderna, si citava anche il saxofono, che veniva descritto come il membro di una famiglia comprendente il sopranino, il soprano, il contralto, il tenore, il baritono e il basso; considerava il suo timbro somigliante a quello del violoncello, del corno inglese e del clarinetto. Galli riferiva che i saxofoni più usati erano quelli in Si bemolle e in Mi bemolle, anche se ne esistevano “in parecchie tonalità”; concludeva la sua trattazione dello strumento di Sax con alcuni specchietti che riportavano l’estensione dei saxofoni e la notazione scritta (trasportata).

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Il saxofono venne descritto in maniera molto esauriente da Alessandro Vessella, personaggio chiave della vita musicale italiana di fine secolo, molto competente in materia di bande e strumenti musicali, protagonista delle riforme che riguardarono le bande tra Ottocento e Novecento; a lui si deve un trattato che comparve nel 1897 e nel quale si potevano trovare una grande quantità di notizie e curiosità sul saxofono.
La trattazione del saxofono da parte di Vessella è molto ampia e dettagliata, certamente la più ricca di particolari rispetto agli scritti precedenti.
Vessella sosteneva che i saxofoni leggevano tutti in chiave di violino e riportava le nove specie riconosciute da Kastner, poste a distanza di una quarta o di una quinta l’una dall’altra: sopracuto in SI b, sopranino in MIb, soprano in SI b, contralto in MIb, tenore in SI b, baritono in MIb, basso in SI b, contrabbasso in MIb e bordone in MIb; commentando questa serie di strumenti, che comprendeva anche esemplari molto rari e dall’uso limitato, Vessella affermava di non tenere conto della “serie parallela degli stessi nove strumenti accordati tutti un tono sopra (Do-Fa); furono fabbricati dal Sax e potevano riuscire utili nell’orchestra, ma finora non ebbero che un uso molto limitato.” L’autore quindi ammetteva l’esistenza degli esemplari in Do e in Fa, anche se l’uso effettivo e persino la presenza della maggior parte dei componenti di questa famiglia “orchestrale” risulta piuttosto dubbiosa; sosteneva poi che, per coloro che intendevano scrivere per saxofono, poteva risultare molto utile la lettura del sestetto di Kastner che il compositore aveva collocato all’interno del suo metodo.

Studi di strumentazione per banda, pag.22

Alessandro Vessella, Ed. Ricordi

Dall’analisi di questi pochi trattati possiamo concludere che il saxofono è stato sempre considerato uno strumento traspositore e che la scrittura per questo strumento è stata sempre in suoni trasportati e non in suoni reali. Le diteggiature sono uguali per tutti i tagli dello strumento.


Un’altra interessante analisi può essere fatta consultando i metodi per saxofono dove si può notare che sono tutti scritti in notazione trasportata e con le diteggiature uguali per tutti i tagli dello strumento. Analizziamone alcuni.
Iniziamo con uno dei metodi storici utilizzato in Italia e scritto da Alamiro Giampieri (1893-1963), Metodo progressivo per saxofono. Il metodo Giampieri iniziava con alcuni semplici esercizi di note lunghe e aumentava rapidamente la difficoltà, proponendo ben presto esercizi con salti, scale cromatiche, diatoniche e arpeggi in tutte le tonalità; dopo alcuni esercizi cantabili definiti “di genere”, se ne proponevano alcuni “di meccanismo” tratti dal metodo Sellner. Nelle pagine iniziali dove vengono indicate le “avvertenze”, Giampieri ci dà una chiara indicazione sul metodo di lettura del saxofono e sulle diteggiature:

“Metodo progressivo per saxofono”

Alamiro Giampieri - ED.RICORDI

“Il sassofono nella nuova didattica” scritto dal saxofonista francese Jean-Marie Londeix, tradotto in italiano da Alberto Domizi, nelle pagine iniziali descrive brevemente il saxofono indicando le estensioni, le diteggiature e il metodo di lettura:

“Il sassofono nella nuova didattica”
Jean-Marie Londeix - ED. BÈRBEN

In conclusione possiamo affermare che il saxofono, anche nei metodi, è stato sempre considerato uno strumento traspositore, la scrittura è stata sempre in notazione trasposta e che le diteggiature risultano essere uguali per tutti i saxofoni così come la lettura in chiave di violino.

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Occorre segnalare che in alcune scuole di saxofono, come nella scuola napoletana, viene utilizzato un metodo di lettura in suoni reali. Lo scritto musicale (in chiave di violino e trasportata) viene letto in suoni reali cambiando all'istante tonalità e nomi. Ad esempio, leggendo uno spartito per saxofono in SIb, con questo metodo di lettura, occorre leggere in chiave di tenore e pensare la tonalità un tono sotto a quella scritta in partitura (es: tonalità scritta DO, letta SIb). Per un saxofono in Mib occorrerà leggere in chiave di basso e pensare la tonalità una terza minore sopra (es: tonalità scritta DO, letta MIb). La lettura in diverse chiavi di uno spartito scritto in chiave di violino (e suoni trasportati) andrà a cambiare le diteggiature associate ad una stessa nota scritta per sax in SIb o Mib. Ciò comporta uno studio differente delle diteggiature per i diversi tagli dello strumento. Per comprendere meglio questo tipo di lettura seguite l’esempio qui di seguito.

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Esempio di lettura in suoni reali con spartiti in notazione trasportata:

Spartito scritto per saxofono in SIb

Lettura in suoni reali (Scuola Napoletana)

Diteggiatura per sax in SIb

SIb      DO       RE      MIb      FA      SOL      LA       SIb

(Tonalità considerata: SIb)

Spartito scritto per saxofono in MIb

Lettura in suoni reali (Scuola Napoletana)

Diteggiatura per sax in MIb

MIb      FA       SOL     LAb     SIb      DO       RE      MIb

(Tonalità considerata: MIb)

Come si può notare il nome delle note non corrisponde alla nota scritta in chiave di violino, le tonalità considerate sono diverse da quelle scritte in partitura e ogni diteggiatura è chiamata in modo diverso in base allo strumento che si sta suonando. Quindi un saxofonista che utilizza questo metodo di lettura dovrà memorizzare 2 diteggiature differenti in base al taglio del sax . Esempio: un SIb (letto in suoni reali) su un sax in Mib avrà una diteggiatura differente da un SIb (letto in suoni reali) su un sax in SIb.

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Esempio di lettura  in notazione trasportata:

Spartito scritto per saxofono in SIb

Lettura in chiave di violino

Diteggiatura per sax in SIb

DO       RE       MI        FA      SOL     LA        SI        DO

(Tonalità considerata: DO, scritta in partitura)

Spartito scritto per saxofono in MIb

Lettura in chiave di violino

Diteggiatura per sax in MIb

DO       RE       MI        FA      SOL     LA        SI        DO

(Tonalità considerata: DO, scritta in partitura)

Come si può notare il nome delle note corrisponde alla nota scritta in chiave di violino, le tonalità considerate sono quelle scritte in partitura e le diteggiature sono identiche. Quindi un saxofonista che utilizza questo metodo di lettura dovrà memorizzare un’unica diteggiatura per tutti i tagli del sax .

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Vantaggi e svantaggi
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dei diversi metodi di lettura?


- La lettura in chiave di violino e suoni trasposti ha l’enorme vantaggio di avere le stesse diteggiature per tutti i tagli della famiglia del saxofono e di leggere tutte le parti con la stessa chiave; lo svantaggio potrebbe essere quello di chiamare i suoni, che vengono prodotti, con nomi differenti dalla loro reale altezza e quindi di “falsare” la percezione uditiva. Occorre ricordare che la pratica di chiamare i suoni con nomi differenti dalla loro reale altezza è stata sempre utilizzata, basti pensare alla pratica del DO mobile. Basterebbe spiegare all’inizio dello studio di questi strumenti qual è il metodo di lettura degli strumenti traspositori.

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- La lettura in suoni reali, di parti con suoni trasposti, ha il vantaggio di chiamare i suoni nella loro reale altezza come fanno molti altri strumenti (violino, pianoforte, oboe, flauto,…) ma ha lo svantaggio di dover studiare 2 tipologie di diteggiature in base al taglio del sax che si sta suonando, di dover leggere gli spartiti in diverse chiavi da quella indicata in partitura e quindi di dover cambiare anche la tonalità (per i brani tonali) indicata nella partitura. Occorre far notare che tutte le partiture, i metodi e le parti staccate per questi strumenti sono scritte in notazione trasportata.

 

Questo articolo non vuole essere giudice di quale sia il metodo corretto di lettura per gli strumenti traspositori, vuole solo far chiarezza sui diversi metodi di lettura utilizzati.

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Angelo Turchi

Novembre 2017

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